Il diritto all’equa riparazione è il diritto ad essere risarciti per le lungaggini processuali, ossia per l’eccesiva durata del procedimento, così come anche disposto dall’art. 111 della Costituzione italiana al 2° comma.
La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la L. n. 848/55 anche dall’Italia, prevede, nella prima parte dell’art. 6, che “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni causa penale formulata nei suoi confronti . …” tale disposto è stato recepito dall’ordinamento italiano, a seguito di più condanne, dalla L. 24.01.2001 n. 89 (c.d. Legge Pinto).
La durata del processo è consentita per tre anni in primo grado, due in secondo grado e uno nel giudizio davanti alla Suprema Corte Cassazione, in ogni caso la lite dovrà essere definita in modo irrevocabile in un tempo non superiore ai sei anni[1]. Pertanto, il danneggiato, potrà richiedere l’accertamento del suo diritto anche qualora la lite si sia conclusa con una transazione[2] o se essa sia ancora pendente.
Presupposto imprescindibile affinché possa essere avviato un procedimento in tal senso è il fatto che esista una domanda avanti a un qualsiasi giudice, che sia ancora pendente o che il procedimento violato sia stato definito da una decisione emessa dopo molti anni.
La domanda di equa riparazione del danno causato per l’irragionevole durata del procedimento si propone con ricorso al presidente della Corte d’appello del distretto cui ha sede il giudice competente ai sensi dell’art. 11 del c.p.p., in relazione ai procedimenti riguardanti la responsabilità del magistrato, verranno quindi utilizzati i parametri di riferimento della tabella A della L. 420/1998[3]. Pertanto il distretto d’appartenenza si identifica, in base al foro ove il procedimento sia iniziato, quindi anche le cause decise in tutti i tre gradi di giudizio, dovranno considerare il distretto entro il quale è stato avviato il procedimento di primo grado (quindi se il procedimento, terminato poi con la decisione della Suprema Corte, ha avuto inizio in primo grado presso il Tribunale di Pesaro, e quindi proveniente dal distretto della Corte d’appello di Ancona, la domanda per equa riparazione del danno per l’irragionevole durata del procedimento dovrà essere proposta avanti al presidente della Corte d’appello di L’Aquila)[4].
Il ricorso, affinché sia dichiarato ammissibile dovrà specificare in modo chiaro i motivi per cui le lungaggini processuali che non possono essere imputate alle parti in causa, con un descrizione sommaria dei fatti, in riferimento ai criteri indicati dalla giurisprudenza, quali[5]:
- La complessità del caso;
- Il comportamento dell’autorità giudicante;
- L’importanza della controversia per il ricorrente.
Infatti ai fini del risarcimento non ha rilevanza l’esito finale del procedimento che si intende violato, ma solo la durata dello stesso.
In relazione al quantum della domanda di equa riparazione del danno morale subito dal ricorrente per l’eccessiva durata del procedimento, il giudice dovrà valutare in modo proporzionale ai criteri sopra indicati quantificando l’indennizzo entro il minimo di 500 € e il massimo di 1.500 € per ciascun anno eccedente la normale durata del procedimento, come indicato all’art. 2.bis della Legge Pinto, o comunque in applicazione dei principi della Suprema Corte[6].
La Corte pronuncia, entro 4 mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione, il quale sarà immediatamente esecutivo.
Infatti, qualora il giudice dovesse ammettere la domanda di equa riparazione, ingiungerà l’amministrazione citata al pagamento non dilazionato della somma liquidata, autorizzando, che in caso di inadempimento, la provvisoria esecuzione (art. 3 comma 5, L. 89/01). Contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione potrà essere proposta opposizione entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento o dalla notificazione della stessa ai sensi dell’art. 5 della L.89/01, qualora l’amministrazione ingiunta non dovesse intentare detta opposizione, lo Stato liquiderà automaticamente l’importo del decreto.
In conclusione, è bene sottolineare che, il procedimento per equa riparazione del danno è uno dei procedimenti esenti dal contributo unificato essendo appunto indirizzato all’accertamento di un diritto violato dallo Stato, come anche disciplinato dall’art. 3 L. n. 89/01. Inoltre, per quanto riguarda i compensi spettanti all’avvocato, dovranno essere applicati i parametri stabiliti dal D.L. n. 140/2012, in riferimento allo scaglione fino a 25.000,00 € per i giudizi innanzi alla Corte di Cassazione, in quanto va considerato come una controversia di minima complessità, con possibilità di riduzione ulteriore fino al 50%[7] ( es.: 180,00€ per la fase di studio, 112.50,00 per la fase introduttiva e 213,25,00 € per la fase decisoria, per un totale di 505.76,00 €).
[1] Come disciplinato dall’art.2, comma 2-bis e 2-ter, L. 89/01.
[2] Cass. civ., Sez. I, 17/01/2011, n. 958 conforme Cass. civ. 11.03.2005 n. 5398 “Il diritto all’equa riparazione ex art. 2 ss. della legge n.89 del 2001 può essere fatto valere, in ipotesi di giudizio definito con transazione stragiudiziale, con riferimento al protrarsi irragionevole della durata della controversia per il tempo anteriore al momento in cui la transazione rifluisce sul processo con declaratoria di cessazione della materia del contendere o provvedimento di estinzione.”
[3] La Tabella che determina la competenza per territorio, ove quindi presentare i ricorsi per l’irragionevole durata del procedimento, è stata aggiunta dall’art. 7 della L. 420/98. Es.: dal distretto della Corte d’appello di Ancona al distretto della Corte d’appello di L’Aquila, dal distretto della Corte d’appello di Bari al distretto della Corte d’appello di Lecce, dal distretto della Corte d’appello di Bologna al distretto della Corte d’appello di Ancona. Ecc..
[4] Cass. civ., Sez. Unite, 16/03/2010, n. 6306 “Ai fini della interpretazione della norma che, in relazione alle domande di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, stabilisce i criteri di attribuzione della competenza (legge n. 89 del 2001, art. 3), è necessario, innanzi tutto, considerare in maniera unitaria – comprendente quindi, tutti i gradi di giudizio che si siano celebrati – il giudizio presupposto nel quale si è determinato (peraltro anche rispetto ad uno solo dei gradi medesimi compreso il giudizio per Cassazione) il superamento della durata ragionevole. Su tale antefatto assume rilevanza dirimente l’individuazione della sede del giudice di merito distribuito sul territorio, ordinario o speciale, davanti al quale il giudizio è iniziato. Individuato tale luogo, può trovare applicazione il criterio di collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente di cui all’art. 11 c.p.p., così come espressamente richiamato dall’art. 3, della legge n. 89 del 2001.”
[5] Per tutte Cass. n. 24399/2009: “… l’accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell’autorità – così come la misura del segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione.”
[6] Caas. N. 12937/2012: “In tema di equa riparazione, ai sensi della l.24 marzo 2001, n.89, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto.”
[7] Cass. civ., Sez VI, 14/01/2013, N. 724.