ABSTRACT:
Dal 1969 è consentito, al coltivatore diretto di terreno venduto, sostituirsi all’acquirente mediante l’esercizio della prelazione agraria (prima del rogito) e del riscatto (dopo il rogito). Dal 1971 tale diritto sussiste anche a favore del proprietario coltivatore diretto confinante col terreno venduto. Poiché tale istituto, anche se in linea con la Costituzione, limita la libertà di commercio dei terreni, i pratici hanno escogitato svariati artifici che spesso la giurisprudenza ha ritenuto inefficaci. Attualmente, l’artificio più in uso è quello della istituzione di un simulato contratto di affitto sul fondo venduto, ritenuto idoneo ad escludere la prelazione del confinante. |
La prelazione agraria è entrata nel nostro sistema giuridico con la legge 590 del 25 maggio 1965, che la istituiva a favore dei conduttori coltivatori diretti[1]. Essa consiste nel diritto, riconosciuto ai detti coltivatori diretti, di essere preferiti all’acquirente sostituendosi a lui a parità di condizioni, con il versamento del prezzo nel trimestre dall’esercizio della prelazione. Le parti contraenti, per consentire la prelazione, devono comunicare il preliminare di vendita o i suoi estremi principali agli aventi diritto, che possono esercitare la prelazione nei trenta giorni, salvo, in difetto di comunicazione, l’esercizio del riscatto entro un anno dal rogito.
La legge 817/1971 estendeva il diritto di prelazione ai proprietari confinanti coltivatori diretti[2], lasciando intatto, anche a favore dei nuovi aventi diritto, lo schema della trasmissione del preliminare, dell’esercizio della prelazione, del versamento del prezzo e del riscatto. In un sistema come il nostro nel quale vige, a mente degli artt. 41 e 42 Cost., la libertà di iniziativa economica, la istituzione della prelazione agraria, peraltro perfettamente in linea con i principi limitativi dell’esercizio della proprietà sanciti nell’art. 44 Cost., è stata sentita quale una coazione, riduttiva di tale libertà, e gli operatori hanno, sin dall’inizio, tentato di individuare una serie di artifici nel tentativo di eluderla: uno dei motivi che ha spinto a tentare tale elusione può essere stato la tendenza ad eludere il pesante sistema impositivo in materia immobiliare, specie nel periodo di vigenza dell’INVIM. Gli artifici posti in essere nel tempo (soprattutto intesi ad eludere la prelazione del confinante) sono stati tanti e molto fantasiosi, e si riconducono a 5 principali: 1) dichiarare un prezzo molto più alto del reale[3]; 2) riservarsi una striscia di terreno[4]; 3) simulare la costituzione di una società con il conferimento del terreno e la successiva liquidazione in danaro del conferente[5]; 4) istituire un contratto di affitto agrario con l’acquirente; 5) simulare una permuta[6], salvi altri meno noti[7].
Tutti tali tentativi sono stati sistematicamente posti in essere e non di rado con scarso successo, laddove ritenuti oggetto di simulazione. In tali casi i giudici riconoscevano il diritto del confinante all’esercizio della prelazione e/o riscatto.
La relativa scarsità della giurisprudenza sull’oggetto trova una spiegazione nel fatto che le cause di prelazione sono notoriamente complesse e di lunghissima durata, tant’è che la maggior parte delle controversie si risolve con transazioni dopo che le parti hanno esperito svariati gradi di giudizio, fra cui spesso, dopo il giudizio di cassazione, la causa di rinvio, con successivo secondo ricorso per cassazione[8] .
È opinione dello scrivente che il far luogo ad un patto simulato fra il venditore e l’acquirente, idoneo a danneggiare il terzo avente diritto alla prelazione possa costituire violazione dell’art. 640 c.p. (delitto di truffa)[9]. Infatti il simulare una situazione contrastante con la realtà può configurare gli artifici e raggiri previsti in tale norma; il vantaggio, a favore di entrambe le parti contraenti o di una di esse, è quello di poter compravendere in violazione delle norme sulla prelazione agraria. Il danno per il terzo consiste nelle conseguenze di non poter esercitare il diritto, previsto dalle legge, di prelazionare. Nondimeno non risultano sentenze per truffa o per tentativo di truffa. Evidentemente il problema è tutto nella prova. Infatti il danneggiato può essere scoraggiato dal proporre querela o comunque dal fatto di dover fornire la prova di un disegno criminoso ex ante, elemento non facile da dimostrare[10].
Tutti gli artifici sopra elencati risultano essere stati ripetutamente posti in essere; taluni hanno avuto maggiore fortuna per qualche tempo, poi sono stati abbandonati o hanno lasciato, anche a seguito di ripetute pronunce giurisprudenziali[11] , il passo ad altri che a loro volta sono caduti in desuetudine per le più svariate ragioni, talora a causa dei costi fiscali e professionali; è probabile che la scarsità di pronunce giurisprudenziali recenti su taluni di essi sia causata dallo stesso loro successo, nel senso che abbiano consentito di eludere la prelazione, senza che l’avente diritto abbia avuto elementi probatori sufficienti per far valere in giudizio il proprio diritto.
Il più in voga nel tempo, e che riguarda esclusivamente la prelazione del confinante, è l’artificio della fittizia istituzione dell’insediamento di un conduttore coltivatore diretto: l’art. 7 della legge 817/1971, al n. 2 prevede, come già visto in nota 2, che detto diritto di prelazione “spetta anche al coltivatore diretto proprietario dei fondi confinanti rispetto a quelli offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti ed enfiteuti coltivatori diretti”. Si tratta di una esplicita causa di esclusione della prelazione concessa al confinante.
Subito dopo l’introduzione della legge 817/71 il problema che si è posto è stato quello della effettiva presenza nel fondo di un conduttore (spesso mezzadro, ma anche affittuario). La norma era evidentemente intesa a privilegiare, nel conflitto fra conduttore e confinante, il primo, in quanto è ovvio che, rispetto al diritto di prelazione del confinante, quello del conduttore abbia una valenza di maggior spessore, poiché il conduttore mira a rendere stabile la propria già sussistente coltivazione del fondo oggetto di vendita, il che è rilevante in un sistema basato, come apertamente indicato dal primo comma dell’art. 1 Cost., proprio sul lavoro. La legge avrebbe potuto affermare che il diritto del confinante viene meno solo in caso di effettivo esercizio della prelazione da parte del confinate e che quindi persiste qualora il diritto di prelazione del conduttore non sia esercitato. Invece l’art. 7 della L. 817/71 statuisce la insussistenza della prelazione del confinante purché vi sia sul fondo venduto l’insediamento di un coltivatore diretto. La giurisprudenza ha chiarito, fin dall’inizio del vigore di tale normativa, che la prelazione viene meno anche se il coltivatore insediato rinuncia al proprio diritto di prelazione[12]. I giudici hanno chiarito che non è necessario che sussista in capo al coltivatore stabilmente insediato l’effettivo diritto di prelazione sulla intervenuta vendita[13].
Poiché sin dall’inizio dell’istituzione della normativa, come testé visto, la giurisprudenza ha statuito che la presenza di un conduttore coltivatore diretto nel fondo offerto in vendita è idonea ad escludere la prelazione, anche se il coltivatore è rinunciante alla prelazione, ben presto la effettiva presenza di un conduttore ha consentito di eludere senza problemi la prelazione del confinante. Ci si poteva così presentare dal conduttore offrendogli di acquistare egli stesso il fondo, e magari, nel caso in cui manifestasse interesse, veniva pattuito un compenso a fronte della rinuncia all’esercizio del diritto di prelazione, così come, in ipotesi, a fronte della rinuncia allo stesso contratto agrario, con la condizione che tale rinuncia fosse esplicitata dopo la vendita, alla quale il conduttore veniva invitato a partecipare per la espressa rinuncia alla prelazione. Solo in seguito veniva formalizzata la rinuncia alla conduzione, e la semplice presenza del conduttore sul fondo determinava il venir meno del diritto alla prelazione del confinante.
L’avvento della legge 203/82, che ha posto termine alla mezzadria e agli altri contratti agrari associativi, ha fatto crollare tale casistica, anche perché i contratti di affitto stipulati successivamente hanno interessato per lo più terzisti[14], non sempre proprietari di terreno e comunque aventi diritto alla qualifica di imprenditori agricoli ma non a quella di coltivatori diretti[15]. La consuetudine con l’istituto ha però suggerito, nell’ambiente agricolo, di rendere più efficace la fittizia presenza sul fondo di un coltivatore, istituendo simulati contratti di conduzione agraria (soprattutto di affitto agrario) non con soggetti terzi, bensì proprio con l’aspirante acquirente. Infatti, istituire un contratto di affitto simulato con un terzo potrebbe determinare sia la instaurazione di contratti stabili (se non attuati ai sensi dell’art. 45 L. 203, di durata almeno quindicinale, sia, soprattutto, l’esercizio della prelazione proprio ad opera del simulato affittuario. Invece, se l’affittuario è l’aspirante acquirente, entrambi tali rischi sono scongiurati, perché l’acquirente è interessato, allo stesso modo del venditore, a tener celata la simulazione, mentre la legge non crea differenza per l’ipotesi che conduttore idoneo ad escludere la prelazione sia un soggetto terzo o lo stesso acquirente. La giurisprudenza ha statuito che sussiste la prelazione del confinante quando il contratto istitutivo del coltivatore diretto insediato risulti simulato[16]; deve dirsi, però, che fornire la prova della simulazione è impresa ardua. Infatti se è vero che il terzo che non abbia partecipato alla preordinazione dolosa può, ai sensi dell’art. 1415 c.c., fornire la prova della simulazione con qualsiasi mezzo e quindi anche per presunzioni, non di meno non si vede come il terzo possa fornire tale prova specie quando, come accennato, il terzo insediato sia proprio l’acquirente. Solo se “ saltasse fuori” la chartula contrattuale ove la simulazione è stata esplicitata, sarebbe possibile fornire tale prova, ma ovviamente tale chartula, che consiste nel preliminare di vendita, gelosamente custodita dalle parti, viene distrutta da queste al momento della stipula del “definitivo”. Oltretutto, l’acquirente, in tali casi, avrà preso possesso del fondo nel momento della stipula del preliminare e porterebbe a sfavore del confinante proprio la prova dell’iniziata coltivazione. In proposito, dopo iniziali incertezze (ad es. con Cass. 2523/1997 che riteneva necessaria una presenza sul fondo del coltivatore diretto da almeno due anni), si ritiene sussistente una stabile presenza del coltivatore anche se iniziata pochi giorni prima della vendita, purché risulti una stabilità di insediamento per l’avvenire. Nel tempo, la giurisprudenza ha chiarito con precisione vieppiù crescente le caratteristiche dell’insediamento idoneo ad escludere l’insediamento: l’insediamento non deve essere meramente di fatto bensì deve aver un titolo istitutivo, ovvero un contratto che lo legittimi[17]; l’insediamento non deve essere precario bensì stabile[18] escludendo quindi tale carattere ostativo, ad esempio, nel contratto di vendita di erbe in piedi o nel caso di subaffitto nel fondo da parte del coltivatore[19]. Tutte le pronunce, comunque, vogliono che, così come su ogni requisito positivo del diritto di prelazione, il prelazionante sia onerato anche della prova della insussistenza di tale requisito ostativo[20]. La giurisprudenza ritiene altresì che il confinante sia esonerato da tale prova quando controparte abbia ammesso la insussistenza o la precarietà dell’insediamento[21].
Al momento, dei 5 artifici in premessa, quello in oggetto è il più in voga; l’ostacolo è dato dalla effettiva conduzione diretta del fondo ad opera dell’acquirente conduttore, che non di rado, nella realtà, non viene esercitata.
[1] L’art. 8 della L. 590/65 afferma: 1) “In caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.
2) La prelazione non è consentita nei casi di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.
3) Qualora il trasferimento a titolo oneroso sia proposto, per quota di fondo, da un componente la famiglia coltivatrice, sia in costanza di comunione ereditaria che in ogni altro caso di comunione familiare, gli altri componenti hanno diritto alla prelazione sempreché siano coltivatori manuali o continuino l’esercizio dell’impresa familiare in comune.
4) Il proprietario deve notificare con lettera raccomandata al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita in cui devono essere indicati il nome dell’acquirente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite compresa la clausola per l’eventualità della prelazione. Il coltivatore deve esercitare il suo diritto entro il termine di 30 giorni.
5) Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l’avente titolo al diritto di prelazione può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa.
Ove il diritto di prelazione sia stato esercitato, il versamento del prezzo di acquisto deve essere effettuato entro il termine di tre mesi, decorrenti dal trentesimo giorno dall’avvenuta notifica da parte del proprietario, salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti.
Se il coltivatore che esercita il diritto di prelazione dimostra, con certificato dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura competente, di aver presentato domanda ammessa all’istruttoria per la concessione del mutuo ai sensi dell’art. 1, il termine di cui al precedente comma è sospeso fino a che non sia stata disposta la concessione del mutuo ovvero fino a che l’Ispettorato non abbia espresso diniego a conclusione della istruttoria compiuta e, comunque, per non più di un anno. In tal caso l’Ispettorato provinciale dell’agricoltura deve provvedere entro quattro mesi dalla domanda agli adempimenti di cui all’art. 3, secondo le norme che saranno stabilite dal regolamento di esecuzione della presente legge.
In tutti i casi nei quali il pagamento del prezzo è differito il trasferimento della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso entro il termine stabilito.
Nel caso di vendita di un fondo coltivato da una pluralità di affittuari, mezzadri o coloni, la prelazione non può essere esercitata che da tutti congiuntamente. Qualora alcuno abbia rinunciato, la prelazione può essere esercitata congiuntamente dagli altri affittuari, mezzadri o coloni purché la superficie del fondo non ecceda il triplo della complessiva capacità lavorativa delle loro famiglie. Si considera rinunciatario l’avente titolo che entro quindici giorni dalla notificazione di cui al quarto comma non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione.
Se il componente di famiglia coltivatrice, il quale abbia cessato di far parte della conduzione colonica in comune, non vende la quota del fondo di sua spettanza entro cinque anni dal giorno in cui ha lasciato l’azienda, gli altri componenti hanno diritto a riscattare la predetta quota al prezzo ritenuto congruo dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, con le agevolazioni previste dalla presente legge, sempreché l’acquisto sia fatto allo scopo di assicurare il consolidamento di impresa coltivatrice familiare di dimensioni economicamente efficienti. Il diritto di riscatto viene esercitato, se il proprietario della quota non consente alla vendita, mediante la procedura giudiziaria prevista dalle vigenti leggi per l’affrancazione dei canoni enfiteutici.
L’accertamento delle condizioni o requisiti indicati dal precedente comma è demandato all’Ispettorato agrario provinciale competente per territorio.
Ai soggetti di cui al primo comma sono preferiti, se coltivatori diretti, i coeredi del venditore.”
[2] Specificamente afferma l’art. 7:” Il termine di quattro anni previsto dal primo comma dell’articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, per l’esercizio del diritto di prelazione è ridotto a due anni.
Detto diritto di prelazione, con le modifiche previste nella presente legge, spetta anche:
1) al mezzadro o al colono il cui contratto sia stato stipulato dopo l’entrata in vigore della legge 15 settembre 1964, n. 756;
2) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti.
Nel caso di vendita di più fondi ogni affittuario, mezzadro o colono può esercitare singolarmente o congiuntamente il diritto di prelazione rispettivamente del fondo coltivato o dell’intero complesso di fondi.”
[3] La sanzione è prevista specificamente dalla legge. Infatti, l’art. 8, L. 590/68, 5° comma, testualmente recita: “Qualora … il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l’avente diritto alla prelazione può riscattare …”. È ovvio che, sebbene la prova della simulazione, a mente dell’art. 1417 c.c. possa essere fornita con ogni mezzo dalla parte che non vi ha partecipato, il problema per l’avente diritto alla prelazione è nella prova: infatti non si vede chi, violando smaccatamente una espressa previsione di legge, lo faccia lasciando prove dell’illecito. In giurisprudenza, per tutte Cass. 2479/1990 e Cass. 8669(1991; la S.c., in tali casi, ha chiarito che l’avente diritto a pena di decadenza, deve versare il prezzo nei termini prescritti dalla legge a pena di decadenza.
[4] Per tutte Cass. civ., Sez. III, 09/08/1995, n. 8717: “In tema di prelazione agraria, (…) la riserva, da parte del proprietario, in sede di vendita, di una striscia di terreno lungo il confine, diretta a costituire un’artificiosa condizione di distacco tra i fondi,[(…) non può] valere ad escludere il diritto del confinante all’esercizio del diritto di prelazione.”
[5] Cass. 8938/87, statuiva che la costituzione di una società “ che si sia limitata all’acquisto e alla gestione di un fondo rustico, deve ritenersi simulata con la conseguenza che la cessione dell’intero pacchetto azionario rappresenta trasferimento a titolo oneroso di detto fondo con riferimento al quale va riconosciuto il diritto di prelazione a favore dell’affittuario.” In seguito tale orientamento giurisprudenziale si è ribaltato, salve rare eccezioni (ad esempio Trib. Pesaro 10.09.1988, inedita) ritenendo che vada rispettato il principio dell’indipendenza e dell’intoccabilità della personalità giuridica delle società di capitali, contro la quale personalità giuridica non è ammessa prova della simulazione.
[6] Cass. 10573/1990 chiarisce che: “Alla stregua del suo contenuto e della sua ratio, la disposizione dell’art. 8, 2° comma l. n. 590 del 1965, che esclude la prelazione agraria in caso di permuta, si riferisce non solo alla permuta di fondi rustici con altri analoghi, ma a qualsiasi ipotesi di permuta, intesa questa secondo la definizione datane dall’art. 1552 c. c. e, quindi, compreso il contratto avente ad oggetto il trasferimento reciproco della proprietà con conguaglio in danaro, che costituisca elemento secondario ed accidentale, perché di scarso valore economico, rispetto al valore del bene cui si accompagna”. Tale sentenza è in linea con la giurisprudenza precedente, ad es. Cass. 2584/1981, Cass. 6225/81 Cass. 4729/82 Cass. 3607/184 Cass. 1211/1985. A sua volta, Cass. 739171990 ha chiarito che, in caso di conguaglio, la prelazione sarà esclusa qualora il valore della permuta risulti preponderante rispetto a quello del conguaglio e che, per l’opposto non vi sia motivo di far venir meno il diritto di prelazione in quei casi in cui “il versamento del danaro effettuato da uno delle parti sia prevalente rispetto al valore delle cose trasferite all’altro contraente.”
[7] Si segnala una new entry costituita dalla vendita di un ramo d’azienda, costituita da un fondo, sul quale Cass. 24018/2001 ha ritenuto insussistente il diritto di prelazione. Pubblicata in Dir. Giur. Agr. 2012, 110 con nota di O. Cinquetti.
[8] La complessità dell’attività giudiziaria in tema di prelazione è causata da vari elementi: A) la tipica litigiosità degli agricoltori; B) le oggettive difficoltà interpretative, in quanto la legislazione in tema di prelazione si presenza come una “normativa quadro”, molti aspetti della quale sono stati chiariti solo in via giurisprudenziale, assistendosi non di rado a ribaltamenti nel tempo di linee giurisprudenziali; C) le difficoltà tecniche della materia con il necessario massiccio ricorso all’istituto della Consulenza Tecnica d’Ufficio, che di per sè appesantisce di molto i tempi della’attività giudiziaria; D) l’aspettativa delle parti che hanno avuto torto di vedere,mediante l’impugnazione, ribaltata la decisione contraria con un ribaltamento giurisprudenziale, possibile proprio per i tempi lunghi, come sopra decritti, di tali cause.
Il risultato è che le vertenze giudiziarie che non si concludono con una transazione vedono frequenti impugnazioni su questioni di diritto, e non episodici ribaltamenti delle decisioni in diritto in sede di Cassazione, con l’inevitabile coda delle cause di rinvio.
[9] L’art. 640 c.p. afferma: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito (…)”.
[10] Segnaliamo in dottrina O. CINQUETTI: Ancora sulle cause ostative della prelazione del confinante: la stabilità dell’insediamento sul fondo in Dir. e Giur. Agr. e dell’ambiente, 1999 pag. 551, ove l’autore afferma: “ l’artificio del contratto simulato può integrare gli estremi della truffa o del tentativo di truffa ai danni del prelatore – confinante”.
[11] E’ questo il caso, ad esempio, della “striscia riservata”. Citiamo in proposito, ad es., Cass. 7553/1997 che aveva ritenuto sussistente il diritto di prelazione del confinante coltivatore diretto in un caso i cui un acquirente aveva dichiarato che la struscia non trasferita frazionata lungo il confine del terreno acquistato era destinata ad una strada, quando, dall’istruttoria, era risultato che la striscia era stata ricavata senza che rivestisse alcuna utilità economica, ed all’unico scopo di vanificare, sopprimendo il requisito della confinanza , il diritto di prelazione del confinante il quale la S. C. ritiene sussistente.
[12] Giurisprudenza costante, vd Cass. 3322/1985; Cassa. 4590/1985; Cass. 5432/1990; Cass. 5376/2003; Cass. 1112/06; Cass. 7753/2007.
[13] In questo senso, vd Cass.243/1983.
[14] Vd. P. BASSI: Il terzista da causale collaboratore del mezzadro e primo protagonista in agricoltura, in Nuovo Dir. Agr., 2000, pp 375 e segg.
[15] In questo senso , vd. Cass. 13566/1991; Cass. 2610/1987 ove il conduttore non coltivatore diretto è definito “affittuario cosiddetto capitalista”.
[16] In quanto senso, ad es., Cass. 5680/2001 e Cass. 5508/2003.
[17] In questo senso Cass. Cass. 10626/1998; Cass. 7450/2001; e Trib. Roma, sez. IV, 18.06.2008.
[18] In questo senso: Cass.5432/1990; Cass. 10227/2001; Cass. 4038/1993; Cass. 5376/2003; Cass. 9712/2003; Cass. 12934/2007.
[19] In questo senso Cass. 3209/1995.
[20] Per tutte, vd. 23929/2007.
[21] In questo senso Cass. 7271/2000.